Video-giochi e violenza
Lettera alla redazione: risponde Carlo Doveri



Gentile lettrice,

la sua lettera ripropone un tema, quello dei giochi o giocattoli considerati nocivi per bambini o ragazzi, che ci è famigliare.
Preoccupazioni come la sua sono emerse negli ultimi trent'anni con una certa regolarità, sollevate da esperti di varie discipline medico-psico-pedagogiche, da insegnanti e da genitori.
Potremmo fare un elenco, non esaustivo, delle occasioni di allarme susseguitesi a intervalli regolari iniziando dalla mai sopita preoccupazione per i programmi televisivi in genere, continuando con l'allarme suscitato dalle armi giocattolo, dai cartoni animati giapponesi, dalla commercializzazione, a partire dalla fine degli anni '80 di pupazzi raffiguranti mostri e robot, all'apparizione in tempi più recenti del famoso "Tamagochi" - l'animaletto virtuale che bisognava "nutrire" con apposite manovre altrimenti "moriva"- oltre che alla mai sopita diatriba sull'ineffabile Barbie.
Alcuni si sono preoccupati delle fiabe, accusando Biancaneve e compagni delle peggiori nefandezze sulla fragile psiche dei bimbi, questi ultimi sempre pensati come angioletti insipienti.

L'attualità è da qualche tempo occupata dal computer e dai videogiochi. In questo settore assisteremo a sviluppi tali che ci faranno apparire, entro breve, gli attuali giochi elettronici e le preoccupazioni ad essi relative, come antidiluviane.
Non fatichiamo ad immaginare che l'applicazione più spinta di tecnologie quali la realtà virtuale renderanno sempre più realistiche quelle simulazioni che oggi ci impressionano su uno schermo a due dimensioni. Avremo quindi occasioni in più di preoccuparci per le nuove generazioni, sempre che lo si voglia.
Questo tanto per tranquillizzarci sul "progresso".

Vorrei notare anche che, nonostante le preoccupazioni e lo scandalo di molti, i computer e i videogiochi si vendono come panini. Le novità si riversano sul mercato a ritmi indiavolati e lo stesso è accaduto in precedenza con i giochi di moda qualche tempo fa.
Senza intenzioni moraliste le faccio notare che, se suo figlio passa ore davanti al computer occupato in giochi che lei non approva, è grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione dalla famiglia. Per dirla schiettamente: glie li ha comperati lei o perlomeno gli ha dato i soldi per andarseli a comperare.
Lei afferma che queste cose le fanno paura e che sono cose nuove. Deduco che, come molti della generazione dei quarantenni, lei abbia poca dimestichezza con le cosiddette nuove tecnologie.
Su questo punto, che ci riguarda un po' tutti, trovo che si accampino scuse troppo facili. Non è pensabile che un adulto, normale, che si assume quotidianamente un lavoro e il compito di mandare avanti la famiglia, possa affermare di essere impotente di fronte a queste cose.
Il computer è una macchina stupida che fa solo quello che le si dice di fare. Con poca applicazione chiunque lo può usare. Concludo che si tratta semplicemente di pigrizia intellettuale, per i più, e che sostenere che non c'è accesso degli adulti a questo mondo equivale a nascondersi dietro un dito.

Vengo ora alle questioni più importanti della sua lettera laddove lei si domanda se simili giochi, soprattutto quelli a contenuto violento, possano, in qualche maniera, ridurre la soglia di sensibilità di suo figlio verso l'uso della violenza nel mondo dei rapporti reali. L'altra preoccupazione riguarda il tempo passato da suo figlio davanti allo schermo a discapito di altre attività da lei ritenute più consone alla sua età.

Diciamo subito che nessuno si rallegra del fatto che circolino sul mercato giochi con questi contenuti, ma la preoccupazione che il contatto con tali prodotti produca, da solo, effetti devastanti sulla personalità dei ragazzi e sulla loro percezione della realtà è eccessiva.

Anche i fatti gravi, riportati dai media e collegati ad un uso smodato del computer rilevano sempre, oltre il sensazionalismo, caratteristiche ben più gravi legate alla situazione esistenziale di questi ragazzi. Scopertine/copriamo sempre che i rapporti tra il ragazzo ed i suoi genitori non sono buoni, che il tempo che il ragazzo passa da solo è inadeguato, e quindi la crisi, anche grave, può essere sì scatenata da una situazione legata al computer, ma il terreno su cui affonda le radici sta, come sempre, nei rapporti con gli adulti che lo fanno crescere.
Ricordo che qualche mese fa si diffuse la notizia che un minorenne in stato confusionale, che affermava di essere un personaggio di un videogioco è stato rintracciato dalla polizia mentre vagava nelle strade di una città italiana. In seguito si scopertine/coprì che regolarmente passava la notte giocando davanti al computer, che il padre era spesso assente e che non si era mai particolarmente interessato delle attività che il figlio svolgeva nel tempo libero.
In un quadro del genere non mi stupisco che, dopo dieci ore passate davanti ad un videogioco, si possano verificare fenomeni di perdita temporanea dell'identità. Il responsabile non è il videogioco, ma il genitore che non ha vegliato sul figlio.

La capacità di distinguere tra finzione, per quanto sgradevole, e realtà è preservata se da questa realtà non si è costretti a fuggire perché insopportabile.
Quindi è alla realtà, alla realtà dei rapporti che dobbiamo stare attenti e non alla realtà virtuale rispetto alla quale un giovane è perfettamente in grado di porre distinzioni chiare. D'altra parte la descrizione che lei fa di suo figlio mi lascia del tutto tranquillo, sia per quanto riguarda una possibile banalizzazione della violenza, sia per quanto riguarda la buona qualità dei rapporti che egli vive con i suoi genitori.

Per concludere, come al solito non esistono ricette, così come non esistono metodi validi sempre e per tutti.
Gli adulti non possono sottrarsi alla responsabilità di decidere, di volta in volta, assieme ai loro figli ciò che è permesso e ciò che non lo è.
Non possono nascondersi dietro la comoda giustificazione che "di queste cose non ci capiscono". Il loro compito è di sapere cosa entra in casa, di saper proibire o approvare con misura, essendo coscienti di quello che fanno.
Allo stesso modo si tratta di avere la certezza che i ragazzi non sono degli incapaci da proteggere per tutta la vita, o meglio si tratta di sapere come e da cosa bisogna proteggere e da cosa no.
La prima protezione è un rapporto sincero, sicuro, cordiale che sa anche assumere, con tranquillità, la decisione di dire no.
Se a lei i videogiochi violenti non vanno bene dica di no, oppure ne discuta con suo figlio e ne valuti le ragioni, ne parli con lui. Certamente, se i vostri rapporti sono come quelli descritti nella lettera, egli sarà perfettamente in grado di accettare una sua decisione che momentaneamente non lo troverà entusiasta perché questa scelta è stata fatta dentro un rapporto serio con lui.



Spettabile redazione,

colgo l'occasione della nuova rubrica di Caritas Insieme, "Educare a educarci", per chiedere il vostro parere o consiglio su una questione che mia sta a cuore.
Ho un figlio sedicenne, che riesce bene a scuola, simpatico, generoso con gli amici e con i famigliari. È un ragazzo con il quale è bello vivere, ma c'è una spetto che mi preoccupa, lui passa ore davanti al computer a giocare a giochi rumorosi e sanguinari.
Quando gli dico che trovo assurdo che ci si possa divertire in questo modo, che non ha vita sociale, che si rovina gli occhi e che tutta la violenza farà pur male da qualche parte, scrolla la testa, mi batte una mano sulla spalla e mi dice di stare tranquilla. Io non posso evitare, invece di preoccuparmi. Temo che questi interminabili giochi, che hanno come scopertine/copo quello di uccidere il più possibile, finiscano con i lrendere l'omicidio qualcosa di normale. In questi giochi i protagonisti hanno più vitem finita una se ne può avere un'altra, se le perdi tutte puoi ricominciare da capo. Queste cose mi fanno paura, anche perchè sono nuove e non ho modelli cui riferirmi per capire come afforntarle.
Ringrazio l'attenzione che vorrete accordarle a questa mia richiesta. Cordiali saluti e complimenti per il vostro lavoro

lettera firmata